Venerdì 7 luglio 2023 il Presidente statunitense Joe Biden, ha approvato l’invio di munizioni a…
Il fenomeno di combattenti che intraprendono un viaggio per partecipare ad un conflitto in terra diversa da quella in cui risiedono, non è nuovo.
Purtroppo il numero di foreing fighters partiti verso il teatro di guerra siro-iracheno è di 40.000 unità
provenienti da almeno 103 paesi.
Nel 2017, le stime affermano che almeno 5.600 combattenti stranieri provenienti da 33 paesi erano già rientrati a casa, abbandonando il fronte di guerra, mentre secondo un’analisi condotta da Hegghammer, tra il 1990 e il 2010 un foreign fighter straniero su nove, in seguito al ritorno dal fronte, si trasforma in un terrorista domestico per il paese che lo ospita.
In questo paper, quindi, ci si interroga sulla politica e la necessità che questa trovi risposte ad un fenomeno già in atto e dai risvolti preoccupanti, soprattutto sociali.
Si traccia un profilo dei vari gruppi legati al terrorismo islamico e i risultati che i foreign fighters hanno ottenuto al loro rientro negli Stati di appartenenza, tramite attacchi terroristici, mostrando come mediamente le nazioni europee abbiano avuto la tendenza a sottovalutare il problema o non agire quando anche era possibile.
Molti Stati Europei infatti hanno finora adottato metodi blandi, anche per evitare di rafforzare il terrorismo islamico sul loro territorio a causa di probabili futuri errori nella gestione del problema.
Vengono poi elencati i principali quattro metodi di reazione degli Stati al problema: l’eliminazione fisica del terrorista, la revoca della cittadinanza, il processo giudiziario e infine l’inserimento in programmi di de-radicalizzazione.
Le conclusioni mostrano come, purtroppo, il problema che si pone a causa del rientro dei foreing fighters è in continua evoluzione, anche a causa del fatto che finora non è stato affrontato con le dovute cautele e con l’importanza che richiede.